Ieri l’altro è avvenuto un fatto nuovo in Umbria: la condanna anche in Appello di Maria Rita Lorenzetti, 25 anni dopo quella tangentopoli che investì la stessa nostra Regione e alcuni assessori dell’epoca.
E’ però la prima volta in assoluto che un ex presidente finisca alla sbarra, in 46 anni di storia dell’Ente territoriale.
Credo opportuno avviare una riflessione non tanto sul reato addebitato –falso- all’ex governatore, ma partendo da tutto quel che la Giustizia, nella bellezza di mezzo secolo, non ha mai visto, né tantomeno sanzionato alla classe dirigente locale: sto parlando dell’intreccio politico-affaristico dovuto al più pervasivo sistema pseudo-cooperativistico esistente in Italia, quello umbro che, dopo aver gettato alle ortiche solidarietà e mutualità, è divenuto vera e propria porta girevole dei capi partito, polmone delle loro casse, intangibile bacino elettorale, con dinamiche opprimenti e tali da ridurre fortemente anzitutto le libertà economiche, a partire dalla libertà d’impresa in Umbria.
Si tratta di un meccanismo fortemente lesivo e distorsivo della dialettica democratica e delle stesse libertà politiche, se è vero come è vero che appalti, delibere, assunzioni, stipendi e voti sono fattori che, per decenni, si sono tenuti insieme, pardon, si mantengono insieme tuttora: ci sono esempi eclatanti, lo diciamo tutti i giorni. Li scardineremo.
A fronte di questo disastro paralegalizzato, la condanna della Lorenzetti rappresenta allora poco più di un buffetto. E poco meno di una metafora. Siamo infatti dinanzi a gigantesche responsabilità anzitutto storiche che chiamano in causa l’intera classe dirigente regionale, incluse le sue estese diramazioni in seno a presunte opposizioni le cui condotte sono apparse ictu oculi per lungo tempo collusive e omissive.
Parimenti evidenti le responsabilità storiche della Magistratura medesima, poiché, in passato, sono certamente giunti nelle varie Procure umbre decine e decine di puntuali esposti su questi fenomeni: eppure ben poco sembra esser stato fatto per arginare la deriva.
Non si stupisca dunque il nuovo procuratore capo di Perugia, Luigi de Ficchy, qualora da parte dei cittadini, ormai, arrivassero ben poche segnalazioni: tra imprenditori distrutti in forza di questo ‘sistema’ e giovani competenti che, esclusi da tutto, emigrano a migliaia; tra chi ha chiesto ripetutamente giustizia per ritrovarsi poi emarginato con un pugno di mosche in mano e chi oggi deve elemosinare da una coop € 3,5 netti all’ora; tra un CSM fortemente condizionato dalla politica e procuratori ‘d’assalto’ improvvisamente ricollocati altrove, credere nella Magistratura resta un atto di fede.
Atto di fede che è nostro disperante dovere, perché, pur diffusamente frustrata, nondimeno prosegue l’opera meritoria di tanti pubblici ministeri -e delle forze di Polizia- che, senza guardare in faccia a nessuno, con immensi sacrifici e troppi ostacoli, quotidianamente portano avanti il proprio lavoro.
Andrea Liberati,
Capogruppo M5S
Consiglio regionale Umbria